Leda Nassimbeni

Provengo da quindici anni di indagine concettuale e poveristica sui materiali ed in particolare sulla lamiera di acciaio. Ho cercato di esprimere il sentimento della natura e di accostarmi ai suoi modi accompagnando con i miei interventi i fenomeni naturali. Ho disvelato, attraverso il fuoco, gli innumerevoli colori che il ferro teneva nascosti. Ho graffiato e smerigliato la sua superficie fino a smaterializzare la luce destabilizzando la visione. Contemporaneamente ho sondato la pietra incidendola quasi fossi stata acqua, vento, agente atmosferico. Mi sono misurata con le leggi fisiche che governano i materiali. Ho plasmato l'argilla rendendola più misteriosa con il raku e ho sperimentato tutti i materiali che mi sollecitavano affinità elettive.

Da un certo momento la forma ha cominciato a divenire primaria rispetto al materiale, assecondando il bisogno di rapporto con il corpo che cominciava ad insinuarsi sempre più profondamente nelle mie fantasie espressive. Attualmente sto lavorando su "le impronte originali" dove le impronte del corpo fissate sull'acciaio, attraverso il calore della fiamma, sono evidenziate con la stesura di lacche colorate. Il materiale diventa sempre più 'mezzo' per rappresentare forme che costruisco e indago cercando di 'seguirmi' in questo nuovo viaggio. Rappresentando frammenti di corpi umani mi soffermo sull'uomo, sul suo significato nel tempo, cercando la sua (o mia?) identità. Il procedimento mentale che mi guida nel lavoro avviene attraverso un processo analogico dove un' immagine evoca l'altra smuovendo nel mio interno parti nascoste, dimenticate; archetipi misteriosamente contenuti nel mio DNA. Nel creare frammenti o mutazioni di volti e corpi, mi domando chi è l'uomo del nostro tempo, se ha le stesse istanze di sempre oppure ha perso la capacità di contenere e ospitare i propri sentimenti. La nostra epoca, velocissima e confusa, ha interrotto i circuiti che ci mettono in contatto con il nostro corpo che ci contiene e con la realtà in cui siamo immersi?